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Home Page> PAGINE SINISTRA > Omelie festive > 11 febbraio 2024 - Ultima Domenica dopo l'Epifania
11 febbraio 2024 - Ultima Domenica dopo l'Epifania
Luca 18,9-14

1. Lo “scandalo” del perdono

Oggi la liturgia ci invita a riflettere sullo scandalo del perdono.
Esso non nasce dalla conversione di colui che ha offeso,
ma dalla conversione di chi è stato offeso.
Si tratta di rinunciare a vendicarsi e di intraprendere un cammino lungo e faticoso.
Certo questo non significa dimenticare, solo Dio lo può e lo fa!
Anzi più si cerca di perdonare più si ricorda, ma in un’operazione di memoria
che non è mortifera né per chi ricorda, né per chi è ricordato.
Perdonando si guariscono le ferite,
e anche se le stigmate sofferte restano incancellabili,
si può dare loro un senso diverso,
a partire da una comprensione empatica di chi ci ha offeso.
Perché l’ha fatto? Qual è la sua vicenda biografica, che educazione ha avuto?
Questo vale soprattutto per i dissidi in famiglia, le incomprensioni tra parenti.

2. Perdonare per salvare

Perdonare non significa condonare il malfattore,
ma avere cura per il suo possibile recupero,
che solo lui stesso può decidere di accogliere.
Gesù, dopo aver insegnato il ‘Padre nostro’ ci ha detto:
“Se voi perdonerete agli altri le loro colpe,
il Padre vostro che è nei cieli perdonerà anche a voi;
ma se voi non perdonerete agli altri,
neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe” (Mt 6,14-!5).
Tra l’altro questa è l’unica domanda del ‘Padre nostro’ esplicitamente commentata.
Saper perdonare è dono che richiede un grande cammino
e un’incessante preghiera per riuscire a concederlo e ad ottenerlo.
Sì, perché anche perdonare se stessi è atto impervio, che richiede un intervento divino.

3. La preghiera del pubblicano

E' quella dell'umile: penetra le nubi (cfr Sir 35,17).
E' simile a quella dei lebbrosi e del cieco; è la preghiera che purifica e illumina.
E' una supplica con due poli: la misericordia di Dio e la miseria dell'uomo.
Gesù ci esorta a umiliarci nel senso di lasciarci accogliere e perdonare da Dio,
che con la sua forza può curare e guarire la nostra debolezza;
Non perdiamo tempo a guardare fuori di noi,
scrutando con occhio cattivo le mancanze degli altri;
Vegliamo su noi stessi, accettando di riconoscere la nostra condizione di peccatori,
di persone che “non fanno il bene che vogliono,
ma il male che non vogliono” (cf. Rm 7,19).
La presunzione della propria giustizia non salva nessuno.
Il giusto non è giustificato finché non riconosce il proprio peccato.
Senza umiltà non c'è conoscenza vantaggiosa né di sé né di Dio,
e si rimane sotto il dominio del maligno.
Se il peccato è la superbia e il peccatore è il superbo,
l'umiltà che il vangelo richiede ad ogni credente
è quella di riconoscere la propria umiliante realtà di fariseo superbo.
L'autore dell'Imitazione di Cristo sintetizza perfettamente l'insegnamento di questa parabola:
"A Dio piace più l'umiltà dopo che abbiamo peccato
che la superbia dopo che abbiamo fatto le opere buone".
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